Pesto e stampa: affinità improbabili

altScritto da Wanda Boni

L'ultimo sabato di marzo, nella sala del Maggior Consiglio del Palazzo Ducale di Genova, si disputavano le finali del 5° Campionato Mondiale di Pesto al Mortaio, evento di grande richiamo internazionale.

altI 100 partecipanti, non professionisti, sono selezionati nei rispettivi concorsi locali: 50 sono liguri; 25 dalle altre regioni italiane; 25 dal resto del mondo. Tra gli italiani era presente anche Metaprintart, nella persona di Roberto Mercati, che nella scorsa edizione si era classificato ottavo assoluto.

Non poteva quindi mancare, in veste di giornalista il fondatore di Metarintart, Marco Picasso il quale, armato di macchina fotografica e del grembiulone blu assegnato ai giornalisti accreditati – quello dei concorrenti era verde, mentre arancione era quello dei 30 severissimi giudici – ha seguito l'intero evento.

Nella mattinata si sono cimentati i 100 partecipanti divisi in gruppi di 10, ciascuno con un testa di serie (tra cui il nostro Roberto). Al termine, dopo 40 minuti di 'pestaggio' (vedere qui il video) dei ben selezionati ingredienti – basilico genovese Dop, pinoli, aglio di Vessalico, parmigiano reggiano Dop, fiore sardo Dop, sale marino delle saline di Trapani e l'olio extravergine di oliva Dop Riviera Ligure – che ognuno dosava secondo la propria competenza, i giudici valutavano i risultati scegliendo un concorrente per gruppo che passava alla finale del pomeriggio.

Acceso il dibattito fra i tre giudici assegnati al gruppo di Roberto Mercati (n 98) se qualificare il numero 98 o il numero 96: ottimi entrambi, più amalgamato il 98, più verde il 96. Un giudice era assolutamente per l'uno, un altro per il secondo, il terzo indeciso. Alla fine Bruno Pizzul, cronista della giornata, elencava i finalisti e, delusione, chiamava il 96 per il turno finale. Pazienza.

I dieci superfinalisti si cimentavano poi nel pomeriggio, e il Pestello d'Oro è stato vinto dalla decana dei concorrenti (due sole le donne finaliste)

Alfonsina Trucco 86 anni, da Montoggio nell'entroterra ligure, che usava un enorme mortaio ottocentesco – si racconta che la bisnonna vi abbia fatto il pesto per Garibaldi e i suoi 1000 – e un pestello doppio (unico tra tutti i concorrenti) in modo che la parte che aveva pestato l'aglio non fosse poi utilizzata per l'impasto finale.

Al termine la Sala profumava di basilico, un odore non certo ortodosso per l'ambiente severo dei dogi, ma affascinante, quasi quanto quello dell'inchiostro di stampa e dei caratteri di piombo.

Speriamo che un giorno lo stesso salone possa ospitare una Olimpiade tra compositori a mano. Non avrà forse la stessa risonanza mediatica del pesto che, a detta di Bruno Pizzul, pare sia seconda solo a quella dei mondiali di calcio, ma sarà altrettanto affascinante.

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